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martedì, 7 Maggio 2024

40 anni dopo Qualcuno volò sul nido del cuculo

Il 19 novembre 1975 veniva trasmesso, in anteprima mondiale a New York e Los Angeles, il capolavoro del regista Milos Forman, tratto dal romanzo di Ken Kesey, pubblicato nel 1962. Qualcuno volò sul nido del cuculo non è solo uno dei tre film nella storia del cinema ad aver vinto tutti e 5 i premi Oscar “principali” (film, regia, sceneggiatura non originale, attore protagonista, attrice protagonista). Non è solo il primo film ad aver trattato il delicatissimo tema delle condizioni di vita disumane dei pazienti negli ospedali psichiatrici. Non è solo quella che potremmo definire la migliore interpretazione di un attore del calibro di Jack Nicholson. La pellicola di Forman è un’opera cinematografica senza pari che ha toccato le corde più sensibili della società degli anni ’70, riuscendo, però, a risultare attuale anche oggi, esattamente 40 anni dopo. Randle Patrick McMurphy, il protagonista interpretato da Nicholson, prima ancora di essere considerato nel contesto dell’ospedale psichiatrico, va visto come il simbolo assoluto del desiderio di libertà presente in ogni individuo, mascherata, in parte o completamente, da vincoli sociali, fisici, morali e, in certi casi, psichiatrici. McMurphy si abbatte sull’ospedale psichiatrico di Stato di Salem come un tornado, calamità per i medici e gli infermieri, in particolare l’austera infermiera Ratched (Louise Fletcher), ma vento di speranza per gli altri malati, o meglio, prigionieri di un sistema che li priva della loro identità, etichettandoli come inferiori, quasi al livello degli animali. Incapaci di difendersi e di affrontare la realtà del “mondo reale”, vale a dire quello che inizia al di fuori delle grigie mura dell’ospedale, i pazienti iniziano a ritrovare loro stessi seguendo l’esempio dell’anarchico McMurphy, l’unico in grado di andare oltre le apparenze e di decifrare la persona che di cela dietro i problemi psichici ed i demoni interiori di ognuno di loro. Il sentimento comune è l’inadeguatezza di fronte ai problemi e alla società che, invece di aiutarli, finge di ignorarli, prova a confinarli, intimorita dalla loro imprevedibilità e dal loro spirito fuori dagli schemi, che poco si addice ai canoni di vita tradizionali. Il compito di uno psichiatra non si dovrebbe limitare alla semplice assistenza medica, in quanto il tipo di aiuto che necessita un individuo come il balbettante paziente Billy Bibit (Brad Dourif) è soprattutto di tipo morale, come quello offerto da McMurphy, pronto ad ascoltare i suoi bisogni, a porsi come complice ed amico, che non intende giudicarlo o studiarlo, ma solo accettarlo così com’è. Il segreto sta tutto nel saper ascoltare il silenzio dell’animo tormentato dei pazienti, emarginati, soli, come il nativo americano sordomuto, soprannominato “Grande Capo” (Will Sampson), simile a Randle, in quanto desideroso di libertà, ma, al contrario suo, privo di determinazione e forza d’animo, depresso e scoraggiato di fronte ad un ostacolo che sembra insormontabile. Ma lo sguardo, solo all’apparenza folle, di McMurphy, lo sguardo di Jack Nicholson, può bastare ad accendere la forza di volontà e la determinazione che la società cerca ogni giorno di spegnere. E se si è realmente determinati, ogni ostacolo può essere superato, ogni demone sconfitto, ogni peso sollevato. Qualcuno volò sul nido del cuculo è tutto questo: un inno alla libertà.

D.T.

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